Ferrara è una città padana dal passato glorioso. I duchi d’Este, che la reggevano durante il Rinascimento, controllavano l’intero delta del Po e, nel periodo di massa estensione, dominavano un territorio corrispondente alle attuali province di Rovigo, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, parte del ravennate, la Garfagnana sino allo sbocco tirrenico di Massa Carrara.
A partire dal Seicento Ferrara divenne un territorio di confine tra Stato della Chiesa e Repubblica di Venezia, nobili, commercianti e artisti seguirono gli Este a Modena mentre la città veniva lentamente assorbita dalla sua campagna. Ancora oggi Ferrara è la “Cenerentola” dell’Emilia Romagna. Da quel lontano 1598, quando l’ultimo duca degli Este, Cesare (1552-1628), dovette lasciarla a Clemente VIII, non s’è più risollevata.
Ma altri personaggi illustri l’hanno attraversata. Giuseppe Garibaldi, in fuga da Roma, sbarcò proprio nelle valli lacustri ferraresi e qui la moglie Anita trovò la morte. L’Eroe dei due Mondi riuscì a fuggire con la complicità delle popolazioni locali, che lo nascosero ai segugi austriaci. L’antico porto di Ferrara si chiama ora Porto Garibaldi, proprio in onore dell’eroe, e nel Comune di Argenta, tra valli nebbiose ove spirò la bella Anita, una frazione porta il suo nome.
Ma che c’entra tutto ciò con il Tai Chi? Fin qui praticamente nulla, ma v’è qualcosa in queste terre che le avvicina a quelle del Tai Chi. Il villaggio di Chenjiagou sorge ad esempio vicino ad un grande fiume, il Fiume Giallo, il più importante fiume della civiltà cinese. Chenjiagou è un villaggio di campagna e quasi tutti i suoi abitanti erano contadini, esattamente come la maggior parte dei ferraresi sino a pochi decenni fa. A Chenjiagou nacque il Tai Chi (o meglio il taijiquan) e i maestri del posto, quando vengono ad insegnare a Ferrara, trovano qui qualcosa di familiare.
Quando io visitai per la prima volta un altro famoso villaggio del Tai Chi – Yongnian nello Hebei – mi parve d’esser tornato improvvisamente nelle mie campagne ferraresi: lunghi stradoni di campagna costeggiati da filari di platani e contadini in bicicletta con in testa un capellone di paglia nella foschia del mattino. Mi aspettavo che sotto quel cappello si celasse mio nonno, lui che tanto ammirava la Cina e avrebbe voluto vedere come i contadini cinesi coltivavano la terra e che attrezzi usavano e in che modo. Yongnian non è un piccolo villaggio come Chenjiagou, in passato doveva essere una città di medie dimensioni. Ancor oggi è circondata da possenti mura come quelle di Ferrara. Tutt’attorno sono campi di mais – o frumentone – come si dice da noi, e soia. Anche da noi si coltiva mais e soia.
La cultura contadina mi accomuna ai maestri di Chenjiagou. Certo nessuno faceva arti marziali nella campagna ferrarese, ma come nel romanzo I Briganti di Liangshanbo, anche a Ferrara v’erano paludi e briganti. Garibaldi oggi è un eroe, ma per i papalini e i loro segugi austriaci, era un brigante. Un mio avo fu garibaldino. Rientrato dalla Spedizione dei Mille, continuava a portare addosso coltelli che maneggiava con la destrezza di Bill “il macellaio” in Gangs of New York. I compaesani lo provocavano urlandogli di nascosto: “Muzzioli, Garibaldi l’è n’ladar!” (Muzzioli, Garibaldi è un ladro!) e lui scattava come una molla e sfilava il coltello minaccioso: “Brigant, vien fora c’at taj la gola!” (Brigante, vieni fuori che ti taglio la gola!). Nell’invecchiare fu colto da demenza senile e un giorno si appostò sulle scale di casa attendendo la nuora. Appena la povera Cristina rincasò, lui le scagliò contro un coltello che s’andò a piantare proprio sulla porta all’altezza del suo viso.
Ora io non so cosa m’abbia tanto affascinato nell’arte marziale cinese, ma fin dall’età di dieci anni il mio sogno era quello di studiare con un maestro cinese. E questo mio sogno era condiviso da altri. Ferrara fu una città attiva nella diffusione delle arti marziali. Negli anni ’70 si faceva tutti karate e dall’inizio degli anni ’80 anche il Tai Chi iniziò a farsi strada.
Alcuni degli appassionati di allora, come il sottoscritto, praticano e insegnano la disciplina tutt’oggi.
Diversi maestri cinesi hanno calcato le vie della città, anche i discendenti diretti di Chen Wangting, il creatore del Tai Chi, da Chenjiagou, quel villaggio di campagna sulle rive del Fiume Giallo. Son venuti e vengono tuttora ad insegnare i segreti dell’arte di famiglia a coloro chi desidera forgiare corpo e mente nei misteriosi meccanismi del movimento del qi.
Sì forse c’è ancora un po’ di romanticismo in tutto questo e la fanciullesca ammirazione degli eroi del passato, come Chen Zhongsheng, pronipote di Chen Wangting, che uccise il “brigante dalla grande testa”, o del servo Yang Luchan, che rubò l’arte dei Chen spiando di nascosto i loro allenamenti di Tai Chi, e probabilmente anche di Giuseppe Garibaldi e Ciceruacchio, che cacciarono il Papa da Roma e fondarono la repubblica.